L’effetto è proprio quello, ci si sente un po’ Niki Lauda. Sprofondati in una struttura aerodinamica, con la curva del sedile che asseconda la piega naturale della schiena e slancia le gambe davanti è proprio come accarezzare il sogno di una Formula1.
Ma non c’è l’insopportabile frastuono dei motori, solo il ticchettio lieve degli ingranaggi della catena, il suono morbido della gomma sull’asfalto e il delicato sussurro del vento.
Questa è la handbike. Provata sulla pista del Velodromo Parco Nord in occasione di una bella iniziativa organizzata dalla Cus Pro Patria Milano Triathlon e da You Able Onlus, grazie a Gianni Patanè, Stefania Brau e tanti volontari che credono fermamente nella forza che può dare lo sport. Sì, perché si può essere sportivi sempre. E la disabilità non deve fermare la voglia di correre, di essere attivi, di misurarsi con gli altri e di allenare fiato e cuore.
Così non resisto e provo anch’io a pedalare con le mani, ad avanzare veloce nell’aria usando tutt’altri muscoli. E nella prova c’è prima di tutto una sorpresa. Ero convinta che la pedalata, anzi, la “manovalata”, se così si può dire, fosse appunto con le manovelle disposte asimmetriche proprio come nelle bici. Mano davanti e mano dietro, a spingere e tirare alternate. E invece no. Viaggiano all’unisono, nella stessa direzione. Un po’ come remare. Probabilmente questa scelta è indispensabile. Così si fa più forza, con braccia e spalle che lavorano insieme, spingendo o tirando.
Cosa riesce più facile? Nel mio caso è tirare. Proprio il contrario della pedalata su bici. E la sfida è riuscire a guidare il mezzo senza fermarsi. Sì perché è tutto nelle tue mani: motore e manubrio. Mentre le braccia spingono con forza devi anche trovare la delicatezza di direzionare le manovelle per non finire nel prato a bordo pista. Non facile, ma neppure impossibile. Più difficile trovare la posizione, quella più performante. Senza che la catena, alta davanti ai tuoi occhi, vada ad accarezzare le gambe. E senza che la manovella inciampi in qualche zona del corpo che non ti eri neppure mai accorta di avere.
Insomma, la posizione inusuale per un’attività sportiva ti fa scoprire che non conoscerai mai del tutto il tuo corpo. Forse il segreto è proprio questo. La disabilità comporta la scoperta di nuove e inaspettate risorse, nuovi e inaspettati muscoli e nuovi talenti che, a volte, grazie alla loro intensa rivelazione, riescono a fare dimenticare una grande assenza.
Tuttavia, per quanto forte possa essere la mia capacità di immersione nel ruolo, non credo di poter andare oltre la soglia delle sensazioni di superficie.
Meglio chiedere ad una esperta.
“Ciao sono Grazia, ti precedo con la telefonata perché poi ho un impegno…”
Avevo contattato Grazia Colosio via Facebook. Ci siamo conosciute al Campionato Nazionale Giornalisti Ciclisti. Mi ricordavo la sua handbike che sfrecciava nella calura estiva nella terra natia di Learco Guerra, sede della crono di quest’anno. E… caspita! Scopro adesso che ha 60 anni, che pratica il ciclismo solo da qualche anno e che ha scelto questo sport con la stessa motivazione di molte altre donne che conosco: fare qualcosa per se stessa.
A 18 anni, sulla Vespa insieme al fidanzato che sarebbe diventato suo marito, Alberto, una macchina in velocità passa troppo vicina alla coppia. Grazia perde così una gamba. Una storia ormai remota, che non le ha impedito, inizialmente, di inforcare una bici normale, con l’aiuto di una protesi. Dopo una brutta caduta però, Grazia sceglie di lanciarsi nell’avventura della handbike. Tre anni fa. La scoperta di un mondo nuovo.
La pendenza massima affrontata? “Circa l’8-10%…” Come? “Si si, non avrei mai pensato di riuscirci, eppure…” Con la handbike si può circolare ovunque e allenarsi quindi in qualsiasi strada, le stesse che il buon senso suggerisce ai ciclisti di praticare. Da due anni basta avere i fanalini e la bandierina alta sul retro, per farti vedere bene anche da chi guida quei carrozzoni che sono i suv.
“La pratica dell’handbike si sta diffondendo sempre di più – spiega Grazia – e ci sono anche alcuni normodotati che si stanno affacciando a questo sport.” Come suo marito ad esempio… che talvolta riesce a raggiungere i 45 km/h.
“Purtroppo però – aggiunge Grazia – i costi della handbike sono sempre molto elevati. Solo gli invalidi sul lavoro possono avere un mezzo in prova gratuita. Per tutti gli altri la cifra da affrontare, per avere un mezzo in carbonio, si aggira intorno ai 16/17.000 euro”. Del resto la handbike è puro artigianato-tecnologico. Me ne accorgo osservando da vicino i tanti dettagli che la compongono e che devono garantire sicurezza e performance.
Grazia si allena facendo il giro del Lago d’Iseo o la Franciacorta. E i muscoli non mancano se si pensa che una handbike in carbonio, quindi la più leggera, può raggiungere i 12-13 kg. “Dopo tanti km anche un semplice cavalcavia può risultare molto faticoso da superare”.
Eh certo! Mi viene da aggiungere. E dopo la Brianza non si può dire che sia tanto diverso per un normodotato! Eppure Grazia riesce a volare leggera. E con lei, a volare leggere sulla handbike, ci sono anche campionesse paraolimpiche già leggendarie, come Roberta Amadeo e Francesca Porcellato. Modelli da seguire. Donne. Sportive che hanno saputo sterzare nella vita, impedendo alla realtà di sopraffare la loro incontenibile voglia si essere attive.
Ed essere attivi significa anche competizione.
Cara Grazia, ti aspetto su Strava. Per una sfida… a mani nude!