Ne uccide di più la fashion week. Sono due settimane che non riesco a dedicarmi al mio sacrosanto “hobby” preferito, il ciclismo. Due settimane che non riesco a metter giù due-righe-due sulla mia rando (ad oggi) preferita, la MiRando. E non me ne vogliano gli altri, ma con la MiRando ho una familiarità ormai non comune.
Sono tre anni filati infatti che partecipo e, udite udite, tre anni in cui la mia performance migliora esponenzialmente. Quindi come non amare la MiRando che, di anno in anno, regala sempre nuove ed entusiasmanti sensazioni?
La MiRando del 2020 mi lascia in testa e nel cuore un aggettivo: corale. Sì perché l’adrenalina, l’entusiasmo, il senso dell’amicizia quest’anno erano ancor più… contagiose. Mi si perdoni il gioco, che poi non fa tanto ridere di questi tempi, ma è bello ricordarsi di questo tipo di emozione. Che già ci manca. Ma che ottimisticamente tornerà presto a farci godere appieno delle uscite di gruppo, tra amici nuovi e vecchi. Quelle situazioni in cui si corre insieme in 10, 100 e 1000.
Detto questo ormai mi conoscete. Sapete che quando c’è da menare io non mi tiro indietro. E così è stato. La classica “partenza alla francese” genera solo l’illusione che gli animi possano stare calmi e tranquilli. Sì, certo, le prime pedalate sono fatte con quella noncuranza tipica di chi quasi ostenta la flemma del surplace, ma poi, appena superato il semaforo della circonvallazione, ecco che si scatena la violenza. Anzi… la viuuuulenza, come direbbe Abatantuono.
Mi trovo così nel gruppetto classico composto da Iryna, Armando, Giovanni e un amico dal Lago di Garda che, ho la sensazione, abbia voglia di fare vedere quanto vale. Così in un amen ci si ritrova, a muscoli ancora un po’ freddini, nella media dei 38 km/h.
Bene. Quando vedo questo numero stampato sul Garmin ahimè non posso fare a meno di farmi delle domande: riuscirò a reggere? Per quanto tempo? Con quale fiato? E via di interrogativo in interrogativo finché non implode la consapevolezza che se vado avanti così ancora per un’ora sarò bella che schiantata dalla fatica prima di intravedere la Certosa di Pavia.
E allora sai che c’è? Ciao ciao Iryna questa volta ti lascio alla tua gloria e mi aggrego a qualche treno più umano.
Trovo quindi la giusta onda e ci balzo su. Siamo adesso ad una più che dignitosa media dei 35 Km/h e inizio a riprendere coscienza delle mie gambe, del mio fiato e del mio cuore. Massì… chi lo dice che bisogna sempre superarsi? Me lo ha ordinato il dottore? No di certo e quindi andiamo avanti e spingiamo. Quel che sarà lo dirà Strava alla fine.
E il fiato nel frattempo ritorna… istigandomi ancora a cercare qualcosa di più veloce.
Questa è proprio la bellezza di quando si corre da soli. Si va a caccia della lepre, s’insegue, si prende o si lascia e poi si ritorna a cacciare. Seguendo unicamente il proprio istinto e assecondando le proprie forze. Adoro la sensazione che si prova in questi casi. E le foto che mi hanno fatto qua e là quelli dell’organizzazione non fanno che testimoniare quanto me la sto spassando, con quel sorriso variamente dentato e un po’ aguzzo che mi dipinge come una faina nel pollaio.
Che bella questa corsa. I detrattori ne sottolineano i lati un po’ pericolosetti, che ci sono ovviamente, come in ogni evento sportivo. Ma vuoi mettere correre in una ciclabile piuttosto che sgomitare tra le auto nel bel mezzo di una granfondo? Bisogna solo stare attenti ai runner che, per fortuna non sono tantissimi, e a chi, ciclista come noi, ha avuto la disgraziata idea di risalire la corrente come un salmone proprio oggi. Però c’è grande disciplina. In testa al gruppo c’è chi caccia l’urlo, avvisa gli altri e il passaparola è efficacissimo. Ed è vero che siamo in una randonnée e non bisognerebbe andare così veloci ma… con poco più di 100 km come si fa a resistere?
Così, con medie altissime, siamo già a Pavia. Nel gruppo non riconosco nessuno, ma in breve siamo tutti vecchi compagni e c’è anche chi mi individua come quella che scrive e mi saluta. Amici in 5 minuti, come nel vecchio spot di Speedy Pizza.
Il ponte sul Ticino è sempre meraviglioso. D’inverno sembra quasi di attraversare la Moldava. E in un attimo sei fuori. Fuori da Pavia che hai appena sfiorato. Immersi nelle lievi salite della Lomellina, risalendo il corso del fiume verso Zerbolò e poi Bereguardo. È qui che c’è la selezione. Così mi trovo un po’ fuori bolla e al primo su e giù (non ho mai amato i repentini cambi di pendenza, sono troppo passista inside) perdo terreno.
Scatta quindi la fase solidarietà. I più deboli del gruppo veloce, tra cui la sottoscritta, si uniscono fra loro e si alternano a tirare. E tiro anch’io un bel po’. Hai sentito Marco (Cannone)? Tiro anch’io! Sì perché la sera prima, a cena da Afredo Al Tronco, con il Magro, Ilenia Lazzaro e Luca Salvadeo, Marco mi aveva un po’ punzecchiata sul fatto che, dai miei racconti, sembro un po’ una succhiaruote. Oddìo… non è che posso dire di no, però a livello femminile c’è un po’ di dignità in più nel farlo, sempre che lo si faccia con grazia e riconoscenza.
Del resto quando si è in gruppi al 99,9% maschili non è che si può dire “ragazzi fate largo che adesso tiro io” (sempre che non si sia Ilenia Lazzaro) e quindi, per il bene del “peloton”, ci si mette compostamente in fila evitando il più possibile di sbattere la faccia contro il muro di vento.
Ma qui in Lomellina, in lieve salita e con le strade indegne che sappiamo essere più adatte al gravel, ho fatto il mio cercando di non scendere sotto i 28 km/h. Sono fiera di me. Se poi si aggiunge che eravamo in tre/quattro e da quelle parti si tende a percepire una profondissima solitudine (il paesaggio è troppo vasto) ecco che la fierezza raddoppia.
Ricordo che il primo anno di MiRando ero andata avanti grazie alle generose manate sul didietro gentilmente offerte da Iryna. A due anni dalla magra figura eccomi invece “capotreno”.
Così soffiando e sbuffando finalmente arriva la prima stazione che, piccola delusione, questa volta non è il mitico “da Pasquale” con il suo pan cotto con l’uovo, ovvero quel delizioso magma che scende giù per l’esofago riaccendendo di pura energia ogni fibra muscolare, ma è una trattoria in centro a Zerbolò. Buonissimo il risotto con la salsiccia… tuttavia perde ai punti in fatto di charme. Il pit stop arriva però con qualche provvidenziale chilometro in anticipo e quindi, dopo la lunga tirata fatta, non posso che tirare un sospiro di sollievo.
Ohibò, Armando e Giovanni sono al tavolo. E Iryna? Mi chiedono. Ma come… non era con voi? L’idea è che abbia tirato dritto, quel sacramento! Del resto anche le mie gambe chiamano. Così, abbandonata l’idea di trovare Benedetta che non avevo neppure rintracciato alla partenza, bloccate a pochi metri l’una dall’altra dalla folla, come in uno sceneggiato d’amore anni ’70, e salutati Tiziana e Alessandro, che avevo conosciuto a Como nel giro d’allenamento per la Rando Imperator, eccomi di nuovo a sferzare i cavalli e galoppare verso il Naviglio di Bereguardo.
Ma prima… il ponte di barche. Che tanto amo d’estate quando lo attraverso in moto per un pranzetto da Pasquale, tanto si rivela odiosamente infido d’inverno sotto le ruote della mia Bianchi Sempre Pro.
Prendo in pieno e in accelerata uno dei fascioni di ferro che tengono insieme il “paranco”, come direbbe Brancaleone, ed eccomi spalmata sul legno nel bel mezzo dell’armata in corsa che lancia urli per evitarmi. Ohibò non è bello essere un ostacolo… Non faccio a tempo a muovermi che subito un crampo colossale mi azzanna al polpaccio. Bloccata. Meno male che c’è sempre qualche gentiluomo che in questi casi si ferma e aiuta. Tutto a posto? Sì, direi niente di rotto.
Si riprende subito. E già sono a caccia del treno giusto. Radar in azione. Bip… bip… eccolo! Si materializza con il gruppo Milano Naviglio che annovera tra i suoi l’amico di Strava Lorenzo. Finalmente ci si conosce dal vivo! E scopriamo tutti e due la nostra storia simile: il ciclismo amore tardivo, ma intensissimo.
Sarà con loro che, sempre a manetta, concluderò in bellezza. Perdendoli un po’ tra le stradine di campagna con il minaccioso ghiaietto in curva (meglio evitare la seconda caduta) e ritrovandoli pieni di energetico entusiasmo alla fine.
Un finale corale, quindi. Così come alla partenza. Ci si trova e ci si ritrova come se si fosse vinta insieme una battaglia. Sorrisi e quasi anche qualche lacrimuccia di emozione. Selfie di gruppo come se piovessero. Con Stefano, con cui ho corso tanto insieme. Con Lorenzo e i suoi amici. Con Roberto, che gli hanno sì fregato i guanti e se l’è fatta tutta senza, ma se la ride come se avesse vinto un premio. Con Alessandro, che ha già la testa alla Randolario quando sarà… Con Graziana che si fa il brindisi io con la birra e lei con il vino. E infine con Benedetta che trovo per la prima volta, finalmente, e sembriamo due sorelle separate alla nascita, tra abbracci e gioia incontenibile.
La Mirando è così e, ve lo prometto, non la rimpiangeremo perché l’anno prossimo si correrà ancora tutti insieme, abbracciandoci e baciandoci a più non posso com’è giusto che sia. Tra esseri umani.