consigli blocco dello scrittore

Devo dire che io non sono una di quelle persone che si fa troppo influenzare e sono abbastanza fiera di questa cosa. Scoop: non bevo alcol e non ho mai ceduto a tutte quelle droghe leggere che andavano tanto di moda nel mio gruppo di amici. Immaginatevi possedere entrambe queste caratteristiche durante l’adolescenza: un mix perfetto per l’emarginazione. Ma a me non importava, non mi sono mai fatta problemi a dire no, grazie, perché in qualche modo avevo la certezza che il mio rifiuto non avrebbe compromesso i legami con quelle persone.

Quando invece si parla di me e della persona che sono allora il giudizio delle persone a cui tengo è importantissimo.

L’altro giorno ero al compleanno di una delle mie migliori amiche storiche, Silvia, le ho fatto la battuta dicendole che il mio regalo per lei era il mio nuovo articolo, quello sulla condivisione, e lei e un’altra mia amica in coro mi hanno tipo risposto: “Ancora? Ma basta, ma quanti sono?”. Ahia, che dolore! Mi ha proprio fatto male il cuore.

Sapete, questi articoli sono io, sono parte di me, sono la mia vita, i miei pensieri e se due tra le mie più care amiche non hanno piacere di leggerli e li rifiutano, fanno di conseguenza sentire rifiutata anche me, come se mi dicessero che ne hanno abbastanza di me.

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Questo genere di cose mi fa molto soffrire e per questo ho messo appunto una tecnica (che fa acqua da tutte le parti, lo ammetto) che è quella del perfezionismo. Mi spiego meglio: ho deciso che devo essere la versione migliore di me, voglio essere la migliore persona per chiunque mi stia accanto, in modo da essere sempre amata e accettata.

La genesi di questa mia pratica penso sia da far risalire alla mia infanzia quando i miei genitori avevano deciso di divorziare. Io mi sentivo una grande responsabilità, sentivo che la mia famiglia sarebbe rimasta unita se io avessi dato il mio contributo in maniera impeccabile (sì, ho anche un po’ di manie di protagonismo).

Questa responsabilità penso di averla proiettata un po’ in tutte le mie relazioni, una sorta di controllo che ho e che inconsciamente mi dà sicurezza ma che consciamente mi mette molta ansia da prestazione.

La mia mente ragiona così: se riesco ad essere un’amica perfetta, una figlia perfetta, una nipote perfetta e una fidanzata perfetta a nessuno verrà in mente di abbandonarmi.

Quindi io cerco sempre di farmi in quattro per tutti, di dire sempre sì, di rendermi disponibile, e vi dirò che non mi pesa, anzi mi gratifica, perché sul momento mi sento proprio bene.

Poi arriva il rovescio della medaglia: quando mi sbatto, corro e disfo e non ho niente in cambio. E’ vero, le buone azioni si dovrebbero fare senza aspettarsi un ritorno, ma siamo umani e siamo insicuri (almeno gli umani fatti come me), vogliamo tutti delle dimostrazioni di affetto e di amore da parte dei nostri cari.

Quindi, quando percepisco (spesse volte anche sbagliando perchè la paura dell’abbandono acceca e rende la visione della situazione meno lucida) che la relazione si sbilancia vado in crisi e penso di non valere niente, che le mie azioni sono state inutili e che nessuno mi ama.

Poi un giorno un amico saggio mi ha detto così: “Non tutti hanno la tua fortuna di avere così tanto amore da far scorrere. Tu ne hai tanto e ne dai tanto. Quindi il singolo gesto vale meno di chi ne ha poco e te lo dà tutto”.

L’ho trovata una frase illuminante. Devo smetterla di quantificare l’amore. Chi ama di più? Chi dona di più? Chi soffre di più? Chi ha più ragione?

Sono le domande che mi faccio più spesso quando percepisco un sbilanciamento nel rapporto. Ma sono davvero le domande giuste? Ovviamente no. E come si fa a smettere di quantificare e di fare paragoni? Ovviamente non lo so, ancora, ma penso che già rifletterci sia un buon punto di partenza.

Fonte foto: Foto di Welcome to all and thank you for your visit ! ツ da Pixabay