Intervista a Giacomo Maiolini, fondatore di una delle etichette musicali più famose al mondo, la Time Records, che vanta artisti del calibro del celebre dj Bob Sinclar o la bravissima Imany.
Ci siamo sentiti al telefono e dall’altra parte della cornetta ho trovato una una persona che non si sentiva arrivata… e dopo tutto ciò che ha fatto, mi ha un po’ sorpreso, soprattutto se bazzichi un po’ nel settore musicale, dove anche l’ultimo arrivato si sente un produttore di fama internazionale.
Giacomo ha i piedi per terra, si reputa più fortunato che bravo e capisci la sua umiltà quando parla del suo team.
Ecco l’intervista a Giacomo Maiolini, fondatore di Time Records, etichetta musicale tra le più famose al mondo
Come è nata la tua passione per la musica? Come sei passato dall’Istituto tecnico di ragioneria al mondo della musica? Ti ricordi il momento in cui hai riconosciuto questa passione e pensato che sarebbe diventata il tuo lavoro? Tutto è nato alla fine del percorso di studi di ragioneria. Quando avevo 17 anni andavo anche io alle feste e quando mettevano la musica ho iniziato a pensare che quel genere musicale mi piaceva sempre di più. Poi, terminato il percorso di studi di ragioneria, insieme a un amico, mi trovavo spesso in casa sua ad ascoltare musica; andavamo in discoteca al giovedì, al venerdì, al sabato, alla domenica pomeriggio e alla domenica sera, ma io ci andavo con un taccuino con il quale poi andavo dal dj a chiedere i dischi che metteva, per poi andarli a comprare la settimana successiva. Una sera, erano gli anni ’80, mentre stavamo andando in discoteca, e io e il mio amico ci siamo detti “perché non facciamo un disco?”. Ecco, tutto è partito così, un po’ per gioco e per scherzo.
Quando tutto questo è diventato un business? Per me questo era tutto un mondo da scoprire e nell’estate del 1984 ho pensato di fare dei dischi da produrre, andando io in studio e facendoli uscire sul mercato con un logo mio, che ancora non avevo studiato, ma che guardando un orologio appeso mi ha subito fatto pensare al tempo, facendomi poi chiamare la casa discografica Time Record. Ho pensato subito che fosse un nome facile da comprendere sia in Italia, sia a livello internazionale. Così nell’estate dell’84 è nata la Time.
Tu hai praticamente creato un nuovo genere musicale. Come ti senti a portare sulle spalle tutto questo? Io non ci penso. Io guardo molto avanti e vedo già cosa potrebbe succedere e quando il disco diventa un successo mondiale non è per me una novità, perché è una scena che ho già visto e quindi penso già di andare allo step successivo.
Come si fa a riconoscere un successo? Non esiste una ricetta. Io penso di essere stato anche molto fortunato, è una caratteristica innata, non è un qualcosa che si può trasmettere o imparare.
Una cosa molto affascnante del tuo percorso è che hai attraversato diverse generazioni. Adesso siamo a Spotify, poi tu magari mi puoi dire che c’è anche qualcosa che va oltre. Io ho iniziato dai vinili e adesso siamo a Spotify. È una sfida impegnativa, perché oggi tutto funziona in base ad algoritmi e noi combattiamo proprio contro questi algoritmi.
Prima la musica forse veniva creata anche partendo da un stimolo personale, oltre che per accontentare il mercato. Ma oggi, quanto questi strumenti stanno influenzando le nuovi produzioni? Penso che quando una persona fa un disco deve fare qualcosa che piaccia innanzitutto a chi la sta facendo. Poi da lì ci sono tanti aspetti da valutare. Sinceramente non mi è mai capitato di qualcuno che facesse un disco che non piacesse prima di tutto a lui stesso.
C’è qualcosa, nel corso della tua carriera, che tornando indietro non rifaresti? Non direi. Io penso di essere stato anche molto fortunato, non mi è mai successo di aver scartato un disco che poi è diventato un successo mondiale. Almeno fino ad oggi! La musica è prima di tutto un’emozione, quindi non ho mai fatto errori che mi hanno fatto pentire.
Ti è invece capitato il contrario? Ovvero di avere qualcuno che ti sconsigliasse un artista sul quale tu hai invece deciso di scommettere e che alla fine ha avuto successo? Sinceramente cose strane così non sono successe. Io ho un team di ragazzi che si confrontano sempre con me e alla fine a me spetta sempre l’ultima parola. Forse mi prendevano un po’ per matto nel 2004 quando avevo firmato con questo gruppo rumeno, gli O-Zone, mentre in Italia andava la cover (ma la versione originale era di questo gruppo rumeno). Io ho firmato l’originale che poi è diventato un best seller mondiale con oltre 25 milioni di dischi venduti e 5 milioni di album. Generalmente però siamo sempre d’accordo.
Che rapporto hai con gli artisti? Spesso con loro nascono anche delle amicizie. Se dopo un grande successo l’artista vuole uscire con un disco che non ha lo stesso appeal sono io stesso che cerco di consigliare, per il bene suo e della sua carriera.
In questo periodo in cui tutto il mondo è stato travolto dal Covid-19, quale sarà secondo te il futuro della musica? Cosa si potrebbe fare per cercare di risollevare questo settore, che è stato uno dei più danneggiati? Innanzitutto io credo che non appena sarà finito questo momento così delicato, serviranno grandi iniziative per tentare una forte ripresa e ricreare interesse verso i concerti e i divertimenti.
Se non avessi percorso la strada della musica, cosa avresti fatto nella vita? Finita ragioneria mi avevano convocato per fare un colloquio in una banca e quella mattina non ho sentito la sveglia! Quindi quando sono arivato a metà strada ho scelto di tornare indietro. È stato come uno Sliding Doors della mia vita.
Vuoi parlarci di qualche artista promettente che state lanciando o di qualche nuovo progetto sul quale state lavorando? Adesso abbiamo pubblicato il disco che sta conquistando piano piano l’Europa ed è un disco con Gabry Ponte. Stiamo poi preparando le nuove uscite e ci sarà anche una sorpresa di Bob Sinclar, con un disco tutto in italiano. Abbiamo poi anche tanti progetti nuovi.
Fonte foto: press office Time Records