Jungle Cruise è l’ultima pellicola uscita tratta da una delle attrazioni presenti nei parchi tematici Disney.
Non è il primo progetto di questo tipo, prima di lui infatti sono stati realizzati diversi cortometraggi basati su attrazioni, fra i quali ricordiamo la saga de “I pirati dei Caraibi” (meglio non soffermarci troppo sui flop come Tomorrowland del 2012 e Haunted Mansion del 2003).
La domanda da farsi, andando a guardare una pellicola del genere, è quindi sicuramente questa: ne vale davvero la pena?
Fra i protagonisti possiamo ritrovare la fantastica Emily Blunt, o meglio l’intrepida dottoressa Lily Houghton che, determinata a scoprire un antico albero con straordinarie capacità curative da Londra decide di partire con il fratello, Macgregor Houghton (Jack Whitehall), per la foresta amazzonica dove recluterà l’affascinante capitano Frank Wolff interpretato dall’ormai onnipresente (se parliamo di Blockbuster) Dwayne Jhonson.
Il trio, a bordo del fidato battello La Quila, cercherà di arrivare all’albero perduto fra mille ostacoli e pericoli nella rigogliosa foresta pluviale.
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Possiamo quindi dire che gli elementi per un’eccitante avventura ci siano tutti: cast affiatato, avventura esotica e pericoli da affrontare. Ma è facile fare scivoloni e cadere in cliché visti e rivisti in questo tipo di film.
Fortunatamente, non è il caso di Jungle Cruise: ritmi serrati, scene di azione ben fatte e dialoghi mai scontati tengono alta l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine.
Il ruolo di Emily Blunt in Jungle Cruise tra girl-power e coming-out
In particolare, ciò che affascina di questo film è il personaggio di Lily Houghton. Emily è una dottoressa Houghton perfetta, indomabile che non si ferma davanti a nulla nonostante le continue sfide che le si pongono davanti.
Il girl-power è ormai un tema ricorrente nei moderni progetti Disney, ma spesso questo tipo di personaggio viene esasperato a tal punto da risultare ridicolo e inverosimile (si Frozen, stiamo parlando di te).
Per fortuna il regista e gli sceneggiatori sono riusciti a proporci, questa volta, un personaggio credibile, una donna davvero forte e sicura di sé, che non solo decide di volare dall’altra parte del mondo per trovare quella che dovrebbe essere una cura per tutte le malattie del mondo (da notare, nessuna storia triste che la spinga a farlo o familiare morente come giustificazione, solo puro interesse per il bene altrui), ma che, come si scoprirà, non ha esitato un secondo a difendere il fratello gay dopo il suo coming out.
Certo, è davvero poco credibile che nella Londra degli inizi del XX secolo un nobile dichiari il proprio orientamento sessuale non tradizionale così pubblicamente, ma stiamo parlando di film su un viaggio in Amazzonia per trovare i fiori di un albero magico, non possiamo essere troppo fiscali.
Non bisogna infatti sottovalutare che la Disney ha finalmente avuto il coraggio di inserire un personaggio apertamente gay in un suo lungometraggio, passi avanti da gigante dai timidi accenni inseriti nel live action de “La Bella e la Bestia” del 2016 con il personaggio di Le Tont (tema che pare verrà maggiormente approfondito nell’attesa serie su lui e Gaston di Disney+ tra l’altro). Quindi chapeau Disney.
Ecco perché anche la parte tecnica di Jungle Cruise ci ha convinto
Fotografia assolutamente perfetta per la storia che ci viene presentata al regista Jaume Collet-Serra, atmosfera calda e perfettamente in tema con un’avventura amazzonica di inizio secolo scorso.
Questo è stato reso anche grazie a degli speciali obiettivi realizzati appositamente da Panavision per il regista e il direttore della fotografia: questi obiettivi hanno infatti una tonalità giallastra e seppiata, in modo tale da ricreare l’atmosfera intensa e soleggiata tipica dell’Amazzonia nei primi del ‘900.
Nota di merito va poi decisamente alla colonna sonora: azzeccatissima in ogni momento, accompagna piacevolmente tutta la visione del film aggiungendo qua e là dei tocchi all’Indiana Jones che i veri appassionati del genere non possono che apprezzare.
Tornando alla domanda iniziale: ne vale la pena? La risposta non può che essere affermativa, guardatelo e divertitevi!
Ultimo appunto per i futuri costumisti dei film dove reciterà Dwayne Johnson: abbiamo capito che qualsiasi capo di vestiario color cachi/maglietta bianca gli dona come a pochi essere umani… ma esistono anche altri colori da utilizzare che, siamo sicuri, gli donerebbero lo stesso.