Da due mesi a questa parte non si fa altro che parlare di una serie coreana che ha avuto un successo internazionale: Squid Game, di Hwang Dong-hyuk, che ormai ha invaso i televisori di tutto il globo, basti pensare che nel primo mese di programmazione ha raggiunto 111 milioni di spettatori.
Il titolo, Squid Game o gioco del calamaro si riferisce alla versione coreana di un gioco di strada che i bambini in tutto il mondo praticano, con nomi diversi. Solo in Italia si può chiamare campana, mondo, brucio e altri nomi a seconda delle regioni.
La vicenda parla di un mondo crudele e classista dove il ricco ha la facoltà di ottenere ogni cosa mentre il povero non può che sopravvivere di stenti.
I protagonisti di questa serie sono appunto 456 individui schiacciati dalla società in cui vivono; chi sommerso dai debiti di gioco, chi scappa dal crimine organizzato, chi non riesce a trovare un’occupazione… in sintesi chi non ha più niente da perdere, l’ultima ruota del carro.
Un’organizzazione misteriosa offre a questi sciagurati l’opportunità di vincere molto denaro partecipando, all’apparenza, a dei classici giochi per bambini come “uno, due, tre stella” o “tiro alla fune”, peccato che la posta in palio sia la loro vita. Il semplice scopo degli organizzatori del gioco è invece quello di intrattenere un pubblico di ricchi e deviati individui che si divertono a scommettere sulle vite dei giocatori.
Il paradosso che ha intrigato molti spettatori è il fatto che questi protagonisti, una volta dopo aver scoperto le disumane penitenze della competizione, ebbero la possibilità di scegliere di abbandonare il gioco, ma essi, mettendo sul piatto della bilancia le loro vite attuali e il gioco mortale, scelsero comunque la seconda. Da questa decisione ci fu una progressiva deumanizzazione dei personaggi, da prima spaventati e aberrati dalle molteplici morti di ogni gioco, ad arrivare a degli automi freddi e calcolatori capaci di sporcarsi le mani di ogni crimine per vincere.
La serie quindi spiega fino a che punto una persona disperata si possa spingere per migliorare le sue di condizioni di vita e quanto possa essere perversa e malata la mente umana. Denuncia anche il fatto che con una società così capitalista, chi non fa parte della classe dominante, non ha modo di decidere della propria vita, ecco che quindi questa realtà utopica della serie diventa una metafora della vita reale.
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