Dopo il disastro del remake al femminile di Ghostbusters uscito nel 2016 speravamo che lo sfruttamento del franchise di Ghostbusters fosse bello che finito. Ovviamente ci sbagliavamo.
Ghostbusters e il reboot del 2016
Visto l’ormai esaurito filone dei reboot (la gente inizia ad essere un po’ stanca di questo genere di film), ecco che le varie major cinematografiche si buttano su un altro tipo di progetto nostalgia, ovvero i sequel non voluti, non necessari e soprattutto, non richiesti. Buttiamoci dentro uno dei ragazzi di Stranger Things (nello specifico Finn Wolfhard) e Paul Rudd per cercare di accaparrarsi quella fetta di giovani che non sono cresciuti con il mito degli Acchiappa-fantasmi ed ecco che nasce “Ghostbusters: legacy”.
I problemi di Ghostbusters: Legacy
Ma partiamo dal primo dei numerosi problemi della pellicola co-scritta e diretta da Jason Reitman (figlio di Ivan Reitman, che ha diretto l’originale): per un non ben precisato motivo la storia non è più ambientata a New York (dove i fantasmi sciamavano in modo eccitante ed esilarante come topi), ma in una piccola cittadina dell’Oklahoma. Perché?
Lo sfondo della grande mela è uno dei punti vincenti dei due capitoli originali, il motivo per il quale spostare gli eventi fuori città è un mistero. Se ciò non bastasse, siamo passati da un film su fantasmi fatto per persone adulte ad una sorta di avventura fantasy sub-Spielbergiana con protagonisti un adorabile gruppo di adolescenti che non hanno la minima idea di quello che stanno facendo.
Ghostbusters: Legacy. La trama
I protagonisti sono Trevor (Finn Wolfhard di “Stranger Things”), e la sua sorellina appassionata di scienza Phoebe (la bravissima Mckenna Grace) che si trasferiscono con la madre (Carrie Coon), in una desolata fattoria nel mezzo dell’Oklahoma. È qui che l’Acchiappa-fantasmi originale Dr Egon Spengler (una volta interpretato dal defunto Harold Ramis) viveva in pensione, preoccupato per un potente spirito diabolico in agguato in una vicina miniera abbandonata. Durante il loro soggiorno faranno amicizia con l’insegnante della scuola estiva di Phoebe, il sismologo Gary Grooberson (Paul Rudd), Trevor ha una cotta per il collega adolescente Lucky (Celeste O’Connor), mentre Phoebe fa la sua prima amicizia in Podcast (Logan Kim).
Ghostbusters: Legacy. Effetto nostalgia non riuscito
Ciò che fa veramente deragliare l’intera energia del film è che “Afterlife” fa affidamento su Phoebe e Gary, che il film inizialmente presenta come persone intelligenti, che però prendono, inspiegabilmente, le decisioni più stupide e insensate pur di portare avanti la trama del film.
È impossibile tifare o simpatizzare con qualcuno, visto quanto sono piatti i personaggi di questo film. È come la loro unica funzione fosse quella far passare il tempo fino all’arrivo sullo schermo degli originali “Ghostbusters”: tutto il film è una grande ricerca ai vari Easter Egg, dal ritorno dell’omino Marshmellow (che dobbiamo ammettere, è stato adorabile ma completamente non necessario), alla sostituzione del grosso e affamato Slimer nel grosso e affamato Muncher (il motivo? Avete riportato Marshmellow, a questo punto riportate pure lui).
Il problema dei personaggi femminili nei sequel
E mentre alcuni potrebbero applaudire “Afterlife” per aver reso Phoebe, l’eroina principale del film, è frustrante che il film cada nella stessa trappola di “Star Wars: L’ascesa di Skywalker” con il suggerimento che i personaggi femminili possono esercitare solo il potere quando sono collegati a personaggi maschili affermati che già piacciono al pubblico: è questa la cosa che, sinceramente, lascia più amareggiati.
Encanto, il nuovo musical Disney: trama, trailer, canzoni e musiche
Ghostbusters: Legacy. Scena post-credit.
Ma alla fine, lo scopo dei sequel non è appunto quello di fare leva sull’affidabilità del franchise dal quale provengono?
“Ghostbusters: Afterlife” (titolo originale del film) mantiene sicuramente questa promessa: ci sono i fantasmi, c’è la Eco-1, ci sono i fucili protonici e ci sono anche gli Acchiappa-fantasmi, l’indistruttibile sigla di Ray Parker Jr. e così via. Il problema è che non porta nulla di nuovo a quello che già c’era.
In realtà, l’unica cosa davvero positiva è stata la scena end-credit con Bill Murrey e Sigourney Weaver che, però, non vogliamo spoilerarvi. Certo, questo però non giustifica i 125 minuti di noia che l’hanno preceduta…