I migliori thriller psicologici potranno non piacere a tutti, ma bisogna ammettere che hanno un fascino tutto loro: sono pieni di suspense e cerebrali, ci costringono a non distogliere mai l’attenzione per paura di perdere qualche dettaglio o qualche indizio fondamentale nonostante la tensione sempre presente.
Filmografia thriller: film psicologici da vedere assolutamente almeno una volta nella vita
Non solo questi thriller possono giocare brutti scherzi alla mente del pubblico, ma abbattono la nostra psiche e ci rendono vulnerabili a improbabili colpi di scena che non avremmo mai visto arrivare.
Inventing Anna: quante Anna Delvey hai venerato nella tua vita?
Se siete fan del genere, o se avete appena iniziato ad approcciarlo, abbiamo raggruppato per voi i 7 thriller che hanno fatto la storia di questo genere (e che, francamente, spesso tornano a inquietare i nostri sogni).
Shining (1980)
Kubrick doveva necessariamente essere presente nella nostra classifica (e non solo una volta: spoiler!): stiamo parlando del suo adattamento del 1980 del famosissimo romanzo di Stephen King, Shining. Il film, che offre alcune delle battute e delle inquadrature più iconiche del cinema, come “Ecco Johnny” e i tappeti dai motivi intricati dell’Overlook Hotel, parla della discesa verso la follia di un uomo e della sua famiglia mentre durante il loro soggiorno in un inquietante hotel del Colorado durante i mesi invernali. Mentre le interpretazioni di Jack Nicholson e Shelley Duvall più passa il tempo e più sono inquietanti, è la versione di Kubrick di un horror psicologico e la sua acuta attenzione ai dettagli che ammalia i fan da ormai 40 anni. Shining è visivamente sbalorditivo, ma a combustione lenta. Colpisce le giuste corde emotive e Nicholson è perfetto nel suo essere inquietante e violento, ammaliando in modo impeccabile il pubblico, aiutandolo a sentire e non solo vedere il crollo psicologico del suo personaggio. Il film, sebbene criticato da personaggi del calibro dello stesso Stephen King, è l’epitome di film che segue la caduta di un protagonista nella follia assoluta: una vera meraviglia psicologica.
Il silenzio degli innocenti (1991)
Se pensiamo ad un killer seriale non può non venire subito in mente la meravigliosa (quanto inquiesante) interpretazione di Hannibal Lecter regalataci da Anthony Hopkins negli anni ‘90.
Basato sull’omonimo romanzo bestseller di Thomas Harris, Il silenzio degli innocenti vede Jodie Foster nei panni di un’ambiziosa apprendista dell’FBI, Clarice Starling, scelta per assistere in un caso di omicidio. Il responsabile pare sia un killer seriale ma solo un esperto ha il background e l’esperienza necessari per creare il profilo dell’omicida e indirizzare le autorità sulla giusta pista: l’unico in grado di ricoprire questo ruolo è il famigerato dottor Hannibal “The Cannibal” Lecter, le cui credenziali e soprannome sono, purtroppo, meritati.
Lecter è uno dei killer più maniacali mai creati e Clarice, orientata alla carriera, si vede costretta a siglare un patto con il diavolo: nonostante gli ammonimenti del suo superiore (Scott Glenn), Clarice divulga informazioni personali a Lecter in cambio delle sue intuizioni sul profilo psicologico del killer ricercato. Per le superiori intuizioni patologiche di Lecter, non è difficile entrare nella mente di un altro omicida: svela un preciso schema di uccisione alla giovane e impaziente Clarice. Ma per questo profilo, la detective dovrà pagare un caro prezzo: Lecter è ormai entrato nella sua testa e anche dietro le sbarre d’acciaio e il vetro antiproiettile, la sua abilità diabolica è travolgente. Dopotutto, Clarice è stata mandata a parlar con lui appunto perché rientra perfettamente nel canone delle vittime di Hannibal.
Eyes wide Shut (1999)
Eyes Wide Shut è il secondo film di Stanley Kubrick in classifica: anche se non è stato così acclamato quando è uscito, questo film, con Tom Cruise e Nicole Kidman, è ora conosciuto come l’epilogo definitivo di una carriera leggendaria. Eyes Wide Shut è una lezione di perfezionamento nell’attenzione ai dettagli, che esplora amore, lussuria, culti e altro, con un tono onirico e una cinematografia perfetta. Sebbene sia difficile confrontare l’ultimo film di Kubrick con i suoi predecessori come 2001: Odissea nello spazio, ormai questo film è diventato un classico del genere thriller. Le interpretazioni sono fantastiche, Kubrick è al suo meglio verso la fine della sua carriera e si è preso il suo tempo per realizzare un film quasi perfetto in ogni suo inquietante aspetto. Kubrick riesce a creare un thriller psicologico basato su argomenti tabù come il sesso e la prostituzione, e la vulnerabilità che gli uomini devono essere tentati dai loro vizi.
American Psycho (2000)
American Psycho è, in apparenza, la storia di un serial killer. Christian Bale interpreta Patrick Bateman, un affascinante yuppie degli anni ’80 che lavora nella finanza, si prende cura del proprio corpo e vive una vita di lusso assurdo. Nasconde però un orribile segreto: è un omicida a sangue freddo e nel corso del film pone fine alla vita di diverse colleghe e prostitute. Ma il film di Mary Harron non è una semplice saga di violenza e brutalità: è una commedia amara e incisiva, in cui gli orrori commessi da Bateman sono bilanciatidall’assurdità del suo fragile ego. Un giovane muscoloso, un titano dell’industria la cui psiche può essere sconvolta dall’aspetto di un biglietto da visita più elegante del suo. Gli orrori di American Psycho sono chiari e minacciosi, ma il vero incubo è la possibilità che anche le fantasie più violente e potenti di Bateman non siano altro che una fantasia immatura e maschilista. O peggio, che il mondo esiste esplicitamente per soddisfare fantasie immature e maschiliste e consentire il peggio e il più patetico tipo di mascolinità tossica. Comunque lo si legga, American Psycho è un thriller psicologico strappalacrime e un’amara accusa delle mentalità che alimentano il cosiddetto “sogno americano”, in particolare della virilità e del successo.
Gone Girl (2014)
Gone Girl di David Fincher non salta subito all’occhio come thriller, ma a nascondersi sotto la superficie c’è uno dei film più inquietanti del regista. Ben Affleck interpreta l’insegnante Nick, sposato con Amy, interpretata da Rosamund Pike. Non è un matrimonio felice, quindi quando Amy scompare improvvisamente in circostanze sospette, il blitz dei media si rivolge rapidamente a Nick e lo rende il principale sospettato, intrappolandolo esattamente nel tipo di rete opprimente di alto profilo che ha intrappolato Amy per molti, molti anni. Da dove arriva Gone Girl ci sarebbe un crimine da rivelare, ma diciamo che c’è dell’altro nella storia, e Fincher e la sceneggiatrice Gillian Flynn, adattando il suo romanzo best-seller, avevano idee decisamente più ambiziose di semplici omicidi e misteri. Gone Girl esplora l’idea del matrimonio, del vivere in pubblico, dell’essere percepito come un oggetto o un’icona. Rosamund Pike è fantastica in un ruolo sfaccettato, allo stesso tempo straziante, esilarante e tragico, e Affleck offre una delle sue migliori interpretazioni come uomo manipolato all’infinito.
Parasite (2019)
Se non avete vissuto rinchiusi in una segreta negli ultimi 3 anni di sicuro vi ricorderete il meritato successo agli Oscar del film coreano Parasite. Cos’altro c’è da dire quindi su questo film? L’esplorazione del genre thriller psicologico da parte di Parasite è semplicemente sublime: analizzando al microscopio due famiglie sud-coreane molto diverse, il regista Bong Joon-ho scompone la classe ritraendo i pensieri e le azioni dei personaggi. I personaggi sono analizzati in profondità ed è facile immedesimarsi nelle loro difficoltà, i loro desideri e i loro bisogni. Ormai considerato un classico moderno, non esplora solo il genere del thriller psicologico ma anche altri, come la commedia oscura e il dramma, e non può essere contenuto in un unico ambito o interpretazione. Tuttavia, il film è uno sguardo terrificante e surreale nella vita di persone comuni con background completamente diversi. Crea l’illusione che consente al pubblico di sentire ciò che i personaggi stanno provando, così come la loro suspense e le loro ansie.
The Father (2020)
Al tempo stesso straordinariamente efficace e profondamente sconvolgente, “The Father” potrebbe essere il primo film sulla demenza a far letteralmente venire i brividi. Si presente all’inizio come una storia semplice e scomodamente invadente sullo straziante declino mentale di un anziano genitore, ma questo primo lungometraggio del romanziere e drammaturgo francese Florian Zeller gioca con una prospettiva così abilmente che mantenere qualsiasi tipo di distanza emotiva è impossibile. Il risultato è un’immagine che scruta negli angoli che molti di noi potrebbero preferire lasciare inesplorati. Quando incontriamo per la prima volta Anthony (interpretato dall’amato Anthony Hopkins), un vecchio ottuagenario nascosto in un appartamento di lusso londinese, siamo pronti ad aspettarci il tipo di intrattenimento signorile che Hopkins ha fatto suo da tempo. Ma Zeller, adattando (con Christopher Hampton) la sua acclamata opera teatrale, non ha in mente niente di così intimo e quando la figlia di mezza età di Anthony, Anne (Olivia Colman), arriva per dirgli che si trasferirà a Parigi per intraprendere una nuova relazione, la sua reazione passa dallo sconcerto all’assoluta angoscia.
CREDITI FOTO COVER: Antonio Campos Mendez, CC BY-SA 4.0, attraverso Wikimedia Commons