Filosofia e progetti del brand made in Sardinia e… tra i più cool del momento.
È oggi uno dei brand da tenere d’occhio … decisamente d’occhio. Da una parte perché sta “crescendo” e la sua visibilità – nonostante la proverbiale riservatezza del suo fondatore e designer Vincenzo Dipierro – sta diventando sempre più lampante. Dall’altra perché il messaggio che racconta con i suoi gioielli non si limita solo ed esclusivamente a questi.
Dietro Dìuma c’è infatti una Sardegna che guarda al mondo attraverso i suoi miti e i suoi riti… ma attraverso – come afferma lo stesso designer: << una personale chiave di lettura più epica che antropologica e che si traduce in una relazione paradigmatica tra significato e significante, tra la soggettività che vince sull’oggettività>>.
Il marchio nato ad Alghero nel 2014 è un perfetto emblema di lavorazione artigianale, laboratorio di ricerca, tecnica e cultura, tatto, studio e scenografia.
Il tatto e il fatto a mano… le mani di Vincenzo Dipierro che forma, plasma e proietta all’oggi l’argento e il gioiello, la tradizione e il futuro dell’isola. Dìuma che dall’algherese … significa “raccontami”, traccia un percorso che abbraccia un linguaggio di nicchia e lo contestualizza in toto … come nei bellissimi clip che accompagnano ogni loro campagna pubblicitaria. Ho incontrato Vincenzo Dipierro questa settimana per Focus On.
Come nasce Dìuma? Dìuma nasce ad Alghero nel 2014 con la realizzazione dei primi tre anelli “taglio” chevalier tuttora in produzione ovvero l’anello “Dea Madre”, “Boes” e “Accabadora”. Fondamentale è stato l’incontro con Ilaria Gorgoni che dalla fine del 2014 ad oggi svolge per il brand il ruolo di direttore artistico donando a Dìuma l’immaginario che lo contraddistingue.
Quali sono i tratti che caratterizzano la filosofia del brand e i suoi gioielli? Per rispondere alla sua domanda partirei dalla parola presa in prestito dalla lingua Algherese, che è per l’appunto il nome del brand e che si traduce in italiano con “dimmi- raccontami”. Sta qui il carattere fondativo e primario della nostra filosofia. Essa infatti affonda le sue radici, come tutta l’umanità, sull’orale e la relazione tra gli individui che egli genera. I nostri gioielli raccontano una Sardegna che guarda al mondo attraverso i suoi miti e i suoi riti in una nostra personale chiave di lettura più Epica che Antropologica e che si traduce in una relazione paradigmatica tra significato e significante, tra la soggettività che vince sull’oggettività.
Diuma nasce ad Alghero dove lei si trasferisce dalla Puglia. Perché la scelta di abbracciare in toto e proiettare sulle sue creazioni la cultura sarda invece per esempio che quella pugliese? Le risponderò citando Emil Cioran “La patria non è che un accampamento nel deserto, si dice in un testo Tibetano, io non vado così lontano darei tutti i paesaggi del mondo per quello della mia infanzia, ma devo pure aggiungere che se ne faccio un paradiso responsabili ne sono soltanto le illusioni e le infermità della memoria. Siamo tutti inseguiti dalle nostre origini”. Inoltre aggiungerei che come esseri umani ci è dato desiderare solo ciò che non si conosce. E a guardar bene il design e le arti in genere si fondano sostanzialmente su questo principio etico.
Come si rende contemporaneo un gioiello sardo che – nella sua unicità – racchiude un messaggio di tradizioni antichissime? Come si faccia a rendere contemporaneo un gioiello del passato non saprei dire, posso però in tutta umiltà provare a rispondere su cosa non si debba fare. Va precisato che in questo processo creativo si cela sempre una sorta di inevitabile tradimento al quale tutto può essere concesso tranne soffocare la grazia originaria che si manifesta nell’armonia delle forme che abbiamo ereditato.
I vostri gioielli sono unisex. Oggi in un momento dove si parla sempre di più di genderless e di una attitude più fluida che non traccia a volte una netta definizione di gusto tra il maschile e il femminile, il rapporto di un uomo con il gioiello secondo lei come è cambiato? È una domanda che apre scenari di risposta molto vasti perciò risponderò brevemente. Come sia cambiato il rapporto di un uomo con il gioiello di preciso non saprei, forse perché infondo non esiste una vera questione di rapporto tra genere e gusto estetico ma direi che è più una questione di rapporto tra rappresentazione di se attraverso un gusto estetico. D’altrocanto ognuno di noi è abitato da innumerevoli “Io” che coincidono con altrettante rappresentazioni. In breve e banalmente, ognuno ha le sue. Contemporaneamente non si può non ammettere che tutto ciò che è moda fa parte della storia, dunque è cultura ma la cultura è sempre colonizzatrice. Personalmente è interessante solo ciò che supera il concetto dell’“al di là del principio di piacere.” Aggiungerei che il gusto estetico debba coincidere con lo stile e lo stile è anarchico rispetto alle mode, perché racchiude in sè la grazia, la misura, l’eleganza.
Mi racconta la linea Ex-Auctor che avete appena lanciato? Ex-Auctor è una linea che si propone di approfondire, attraverso la ricerca delle forme, i temi già affrontati in questi anni come la Memoria, la Lingua, il Tempo. Il tutto attraverso il linguaggio del design rispetto e a dispetto della simbologia, pur mantenendo costante l’elemento che caratterizza ogni creazione Dìuma che è la relazione che si instaura tra il gioiello e chi lo possiede. Infatti nella linea Ex-Auctor non è più la simbologia a mediare tra Oggetto e Soggetto ma bensì è il design, in un gioco che spazia dai pendenti regolabili in lunghezza, alle superfici lucidate a specchio, alle forme classiche deformate. Ne è un esempio la collezione “Oblio” dove il “comune-denominatore” è il gioco di specchi deformanti che affrontano il tema della Memoria.
Quali sono i vostri prossimi progetti che ci può anticipare? Posso solo anticiparle che inizieremo ad affrontare la questione delle diverse lingue – dialettali e non – che caratterizzano ogni regione dello stivale, ovviamente attraverso il punto di vista della Lingua sarda.