Abbiamo incontrato Roberta Ventura, fondatrice di SEP Jordan, brand di moda etica che sta rivoluzionando il concetto di sostenibilità, da ogni punto di vista lo si voglia guardare.
Intervista a Roberta Ventura, founder del brand SEP
Ci puoi raccontare come è nata l’idea di creare questo brand? Questo brand nasce 10 anni fa dalla volontà di creare un prodotto che sia una fusion tra lo stile italiano e il talento del ricamo medio-orientale, un prodotto che non trovavo e che non avevo mai visto altrove, ma di cui pensavo che ci fosse bisogno nel mercato moda.
Che legame hai con il medio-oriente? Io sono piemontese, ma fin da bambina ho sviluppato una passione particolare per il medio-oriente, in particolare per la questione legata ai rifugiati e ai diritti umani. Ho deciso così di mettere insieme la mia passione per l’area e per il discorso rifugiati, per creare un prodotto che dia al consumatore l’opportunità di creare posti di lavoro nei campi dei profughi dove di lavoro non ce n’è.
Che tipo di prodotto è nato? Sono nati degli accessori che non hanno età, non hanno tempo e non hanno gender e che possono essere indossati anche con outfit eleganti, ma soprattutto sono accessori tutti ricamati a mano, caratteristica principale. Dalla sciarpa kefia ispirata ai copricapi del deserto, allo scialle in cashmere fatto in Umbria e ricamato al campo, tutti questi accessori hanno in comune l’essere timeless e ricamati a mano in un campo di profughi nel Nord della Giordania (Jerash), un campo che esiste dal 1967. Noi siamo il primo tentativo da parte di un settore privato, di lavorare con i residenti del campo come colleghi.
Come avete conosciuto questo campo? Nei 20 anni in cui facevo il mio mestiere precedente che era legato al settore della finanza, ero coinvolta con i campi di profughi del medio-oriente attraverso delle donazioni che io e mio marito facevamo cercando di aiutare e seguendo i campi da vicino. Il campo di Jerash nello specifico è uno di quelli con il tasso di povertà più elevato in tutta la Giordania, perché è uno dei più vecchi; è un campo in cui si vive di aiuti umanitari.
Quale aiuto sta portando questo vostro progetto? La malattia riscontrata più spesso in questi campi è la depressione clinica e il ricamo è terapeutico, perché svuota la mente mentre lo si fa. C’è poi il discorso finanziario, perché il ricamo è sì terapeutico, ma ha anche un obiettivo di tornaconto economico. Si viene poi valorizzate come artiste ricamatrici e non è più solo un hobby. Con l’indipendenza economica vediamo che arriva l’indipendenza a livello emotivo e degli incredibili miglioramenti di tutti quelli che sono i sintomi della depressione clinica. Le oltre 500 signore con cui lavoriamo, da quando hanno questa opportunità, stanno molto meglio.
Dove si possono acquistare questi prodotti SEP? A Milano, in Via dell’Unione 7, ma abbiamo anche un negozio a Berlino, uno a Ginevra e uno ad Hamman. La metà del nostro business è poi online e spediamo in tutta Italia.
Il nome SEP è l’acronimo di? Social Enterprise Project. Quindi nasce come progetto di impresa sociale, con una missione chiara di impatto sociale positivo da creare, sperando di diventare un brand. 10 anni dopo è diventato un brand!.
Quali sono i vostri prossimi progetti? Noi lavoriamo con 500 artiste e nei prossimi 5 anni vorremmo raddoppiare il numero dei negozi e arrivare a lavorare con 2000 o 3000 ricamatrici. L’obiettivo principale è quindi quello di raddoppiare i volumi di vendita ogni anno.