Un marchio da tenere d’occhio e due chiacchiere con il suo founder e direttore creativo.
Il focus in ogni collezione è sullo sparkling, sul luccichio, sul colore – che quasi ti abbaglia – e sulla lavorazione, perché come afferma Roberto Corona Amore: <<l’accessorio rappresenta sempre la firma di chi lo indossa>>.
E non solo, perché l’accessorio talvolta è in grado addirittura di rafforzare un intero outfit… alleggerendolo o “ecclettizzandolo” o ancora è in grado di donare al look un tocco formale o più informale fino a trasformarlo.
Un esempio su tutti è quello di Bad At Math il brand – e progetto-stilistico – di accessori interamente realizzati a mano e nati a Los Angeles dal talento e creatività del designer e stylist italiano Roberto Corona Amore.
Classe 1984, Corona Amore dopo un suo percorso nella moda in Italia si trasferisce in California e prima a San Francisco e dopo qualche anno a Los Angeles, coglie, respira e proietta nelle sue borse, tutta quella “bella anarchia e contaminazione” di stili tipicamente americana.
Il marchio di accessori così luminosi, dai colori che squillano è già amato da influencers e celebrities.
Come e quando nasce Bad At Math? Bad At Math nasce nella Primavera del 2020. Stavo lavorando come stylist per un brand con sede a San Francisco e mentre montavo gli outfits per un editoriale che sarebbe uscito di lì a poco, mi sono accorto che mancava qualcosa: avevo bisogno di un oggetto speciale, di un accessorio insolito; un “giocattolo” che avesse però una sua utilità. Mi ricordavo, durante una delle mie ricerche, di essermi imbattuto in una bellissima borsetta originale degli anni 60. Era lavorata a mano con piccolissime perline in acrilico che brillavano come vetro ed erano lucide come quelle caramelle che in Italia si vendono ancora in confezioni di latta… ecco quello sarebbe stato l’accessorio perfetto. Ho quindi deciso di ricrearlo, dopo giorni di lavoro e innumerevoli tentativi falliti sono riuscito a finire quella che poi sarebbe diventata la prima di una collezione che avrei deciso di produrre e chiamare appunto Bad At Math.
Perché ha scelto un nome così particolare e se vogliamo, apparentemente “slegato” da ogni riferimento alla moda e all’accessorio? Perché la matematica è fatta di regole, ed io invece sono sempre andato per la mia strada senza seguirne alcuna. Sono sempre stato un ragazzino distante da logiche e calcoli di ogni tipo. Ho sempre cercato invece di disegnare i miei schemi mentali e di vita con matite colorate e ritagli di carta.
Sparkling, bling-bling, un tributo a tutto ciò che luccica. Mi racconta la sua visione dell’accessorio e la filosofia del brand? Credo che l’accessorio – in genere – sia sempre stato un po’ “la firma” di chi lo indossa. È un qualcosa che viene sempre scelto con un’attenzione diversa perché nell’accessorio in qualche modo una donna e un uomo si riconoscono. Mi piace pensare che i miei clienti si possano ritrovare in qualcosa di unico e originale e nel caso delle mie borse questa unicità trova il suo focus nel brillante sparkling, nella luce e in quelle piccole lavorazioni che richiedono giorni e giorni per essere realizzate. Da qui qualcosa di scintillante e spettacolare che arriva giocando con il filo di bava, le perline di acrilico e lavorando la trama per dare vita a borse gioiello sulle quali racconto in primis una storia che rende l’accessorio non solo bello da vedere ma anche un segno visivo di personalità… e il tutto sempre con ironia senza prendersi troppo sul serio.
A quale tipo di donna sono rivolte le sue borse? Perché parliamo solo di donne? Bad At Math è un accessorio che si rivolge a tutti quei “baddies” irriverenti, sfrontati, coraggiosi, con un innato senso di eleganza ed ironia.
Lei ha vissuto e lavorato per anni a Los Angeles – dove oltretutto Bad At Math è nato – ed è immerso tra due culture… quella americana e la sua… quella italiana. Cosa c’è in termini di stile e perché no di gusto californiano nelle sue borse e quanto c’è invece di italiano? Come è riuscito – se lo ha fatto – a combinare tra loro questi due aspetti? Mi è stato chiaro fin da subito che a Los Angeles la moda è pura anarchia. A volte in questo melting pot di stili e colori sembra tutto così palesemente sbagliato da risultare addirittura giusto: credo sia la leggerezza del vestirsi inteso come mezzo di espressione, di liberazione che rende tutto così “cool” e affascinante. In Bad At Math ho combinato questa leggerezza con la dedizione, la pazienza e la cura dei dettagli che la moda e l’arte italiana mi hanno insegnato e di cui rimango sempre profondamente innamorato.
Quali sono i prossimi step del suo marchio che ci può anticipare? Intanto sto lavorando ad un progetto di produzione artigianale completamente Made in Italy. Nel futuro mi piacerebbe collaborare con artisti e altri designer per creare qualcosa di spettacolare e inaspettato… una linea Home Decór magari ma per ora mi limito a fare un passo alla volta. Sicuramente non voglio smettere di divertirmi nel fare quello che faccio questo è poco…. ma sicuro.