Occuparsi del lavaggio di vestiti e affini era l’attività più sfiancante delle giornate delle nostre nonne: riscaldare l’acqua, immergere i panni sporchi, sfregarli con il sapone, estrarli e liberarli dell’acqua in eccesso, stenderli al sole, aspettare l’asciugatura e poi rimetterli al proprio posto piegati e ordinati. Con l’avvento della lavatrice, più della metà della popolazione ottenne un’emancipazione senza precedenti.
E se invece oggi qualcuno vi dicesse che nel XXI secolo il posto della lavatrice verrà preso da capi d’abbigliamento che non hanno bisogno di essere nemmeno lavati? È quello che propone di fare Pangaia, una start-up eco-fashion che ha alimentato questo sogno grazie ad una t-shirt realizzata con una fibra estratta dalla lavorazione delle alghe che viene poi trattata con olio di menta piperita. La sua naturale freschezza salverà apparentemente fino a 3.000 litri d’acqua per capo. Niente male, no?
Pangaia è solo la punta dell’iceberg di una fetta di mercato che punta alla realizzazione di indumenti sempre meno dipendenti da lavatrici e affini. Unbound Merino, ad esempio, ha sviluppato invece un’altra t-shirt, stavolta realizzata con un particolare tipo di lana, che può essere indossata letteralmente per settimane senza dover essere spedita dritta nella lavatrice dopo il primo uso. Wool & Prince realizza boxer e t-shirt per uomini odour-resistant, oltre a un vestito che non ha bisogno di essere lavato per oltre 100 giorni. Il suo fondatore, Mac Bishop, è stato spinto a investire in questa direzione per contrastare l’utilizzo smisurato di saponi e detersivi, alimentato da pubblicità che convincono le persone che gli abiti devono essere lavati sempre più spesso. I suoi indumenti si basano senza troppi fronzoli sulle nuove tecnologie: lana estremamente sottile che non intrappola il sudore o l’umidità, traspira naturalmente e aiuta a regolare la temperatura.
Le abitudini capitaliste hanno un impatto devastante sul nostro ambiente. I tessuti sintetici con microfibre plastiche che in un modo o nell’altro finiscono per avvelenare la rete idrica, lavaggio dopo lavaggio. E si vanno ad aggiungere al resto dello spreco di gas, elettricità e carbone. Secondo Fashion Revolution, un quarto della carbon footprint di ciascun capo d’abbigliamento proviene dal lavaggio, senza considerare che il ricorso continuo alla lavatrice ne riduce sensibilmente il tempo di utilizzo a lungo andare.
Per questo motivo queste aziende stanno investendo su prodotti low-wash: c’è bisogno di trasmettere una nuova cultura dello sporco e del pulito. Basti pensare alla normale concezione del sudore. Normalmente il sudore è qualcosa di cui liberarsi il prima possibile utilizzando saponi e detersivi, ma secondo gli esperti è un liquido estremamente pulito. Soltanto nel momento in cui viene intrappolato dai vestiti diventa l’ambiente ideale per germi e batteri.
Insomma, la strada per il futuro è già tracciata, ma si può sempre fare qualcosa in più. Basti pensare al fatto che gli eccessivi consumi si possono ridurre con una buona manutenzione dell’elettrodomestico e che un’eventuale riparazione della lavatrice non solo allunga la vita del prodotto ma è una scelta green all’insegna del risparmio!
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