Perché hai deciso di scrivere un libro sul business di Disney? Adoro ispirarmi alle storie belle, quelle vincenti e significative: hanno il potere di smuovere sentimenti e veicolare comportamenti positivi. Per questo il caso Disney mi ha sempre affascinato, da una parte per quelle storie che per la loro forza hanno conquistato piccoli e grandi e dall’altra per l’eccellenza di un business che si è affermato nel tempo come il 2° conglomerato mediatico più potente al mondo. Ero all’università e dovevo decidere l’argomento della mia tesi magistrale, per la laurea in economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo in Cattolica. Volevo scrivere di qualcosa che mi appassionasse e allo stesso tempo combattere delle affermazioni che durante il mio percorso universitario non mi avevano convinto: secondo grandi economisti infatti non solo il teatro non avrebbe mai potuto essere un business profittevole perché non tecnicamente riproducibile, ma sarebbe anche destinato a scomparire se lasciato al gioco concorrenziale delle nuove tecnologie. Così ho pensato alla Disney che tra i suoi diversi business aveva avviato anche una sua divisione teatrale molto profittevole e ho deciso di analizzarla. Impiegai un anno nella scrittura di quella tesi, di cui 6 mesi in Erasmus a Bruxelles. Durante i miei studi e le mie ricerche però mi sono resa conto che le fonti a cui attingevo erano quasi tutte estere. Non avevo trovato in Italia dei testi che analizzassero il business della Disney (al limite solo la sua storia). Notai poi che nessuno aveva ancora studiato il fenomeno del teatro Disney, che già all’epoca aveva raggiunto risultati eccezionali in termini di profitto, ma anche di riconoscimento artistico da parte della critica. Un solo spettacolo teatrale, quello del Re Leone aveva incassato al botteghino oltre 3 miliardi di dollari, molto più della media dei film mainstream di quegli anni. Era il 2014 e già all’epoca volevo diffondere la notizia, perché pensavo portasse con sé un messaggio importante: la cultura teatrale (e più in generale la cultura) può generare profitto mantenendo pari dignitá artistica ed etica, per cui non c’è ragione di giustificare il default classico dei teatri italiani, solo perché si occupano di cultura. Il business teatrale può prosperare se lo si tratta per quello che è: un business, non un business arido e asettico certamente, ma pur sempre un business e bisognerebbe dargli più attenzione in quanto tale, proprio al fine di valorizzare la cultura. All’epoca non potevo permettermi di investire nella pubblicazione di un libro e lasciai questo progetto nel cassetto.
Qual è stato il momento esatto in cui ha trovato l’ispirazione e hai deciso di scrivere questo libro? È stato nel settembre del 2019. Quel progetto che avevo nel cassetto non lo avevo mai abbandonato per davvero. Mi tenevo aggiornata sulle nuove acquisizioni Disney e sulle novità di business in generale e solo nel 2017 finalmente venne reso noto in un articolo del New York Times l’eccezionalità di come un singolo spettacolo teatrale, quello del Re Leone avesse raggiunto oltre gli 8 miliardi di incassi battendo la nuova saga di Star Wars. Insomma gli incassi di quello spettacolo continuavano a salire. Nel 2019 l’azienda per cui lavoravo come online product manager aveva da poco avviato una partnership con una casa editrice, la Bruno Editore e mi trovai a lavorare a stretto regime con il founder, Giacomo Bruno che divenne direttore marketing. Avevo la notizia, le mie analisi, l’esperienza aziendale per rivedere il libro in ottica professionale e una casa editrice con cui avevo a che fare tutti i giorni. Mi svegliai un sabato e mi dissi “Basta, ora lo scrivo”. Il mio compagno mi trovò sul letto con il pc a lavorarci sopra, a riaggiornare i dati, ad approfondire le ricerche e trasformarlo in quello che è diventato il libro che è oggi. Oltre il lavoro che avevo fatto molti anni prima col mio professore, ho lavorato sul testo più o meno ogni sera dopo il lavoro e nei week end, per altri 6 mesi circa.
Curiosità: hai dovuto chiedere autorizzazione a Disney? No, grazie al diritto all’informazione non è stato necessario.
Nel tuo libro parli tanto di teatro: perché hai voluto dare tanto spazio al teatro piuttosto che al cinema? Premetto che lavoro nell’ambito del Content Marketing e che i contenuti online ad oggi sono per l’80% video. Questo vuol dire che lavoro moltissimo con il mondo video. Inoltre la mia tesi era in cinema e marketing. Se aggiungi il fatto che la Disney è molto più conosciuta per il cinema, la tua domanda è più che comprensibile. Le domande che mi sono posta al tempo però sono state: perché no? Perché nessuno ne parla? Sono un’amante del mondo teatrale fin da piccola e anche se una seconda passione è poi diventata la mia professione, non dimentico la dignità artistica e l’importanza culturale di quel settore. Volevo dare importanza a un’istituzione storica che ha perso di efficacia, troppo svalutata in Italia rispetto ai nostri vicini Europei, martirizzata più che mai oggi con crisi del Covid. Il messaggio più ampio che porta il libro poi è quello che anche i business più impensabili, possono prosperare con la giusta strategia di marketing e con il giusto piano di business e questo messaggio non sarebbe potuto passare allo stesso modo se mi fossi concentrata sul cinema. Infine è importante dire che leggendo il libro viene fuori anche una compartecipazione tra cinema e teatro: non è una lotta dell’uno contro l’altro, ma parlo alla fine di un’alleanza che permette alla cultura di avere la meglio.
Quanto sono importanti le produzioni teatrali? Personalmente credo che il valore sociale e culturale delle produzioni teatrali sia inestimabile.
Parliamo di musical: quanto è importante il marketing? Il marketing nei musical è importante tanto quanto in qualsiasi altro business, è questo il bello: cambiano le strategie, le tecniche, il pubblico di riferimento, ma il marketing è sempre fondamentale per raggiungere i propri clienti e creare delle relazioni di valore, profittevoli. In questo temo che non solo il teatro, ma anche molte piccole e medie imprese italiane siano ancora indietro e questo è dovuto anche al fatto che siamo il 4° ultimo Paese in Europa in termini di digitalizzazione (dati DESI). Se pensi che il marketing oggi si muove soprattutto sul digital è un bel problema. La mia non vuole essere una critica, ma un desiderio di miglioramento generale: si può fare ancora tanto.
Qual è stato il “segreto Disney” che ti ha sorpreso di più? Immagina: quando viene prodotto uno spettacolo Disney, questo viene promosso anche sui canali televisivi Disney, come ABC, viene creato del merchandise ad hoc, viene creata una nuova giostra nei parchi di divertimento, un album di musica e così via. La locandina del Re Leone appare persino in dei fotogrammi nel trailer degli Avengers. È la cosiddetta sinergia Disney: è la frase tipicamente usata per descrivere il massimo delle attività “cross-promozionali”, descritto come la sincronizzata interazione delle risorse di una compagnia per dar forma a qualcosa di più importante rispetto al totale delle parti individuali. Lo fanno anche altre aziende, ma nessuno come Disney, per questo ha questo nome. Toccare con mano come ciascun’area di business sia legata all’altra in questo modo per me è stato incredibile. La conoscevo in teoria ed è anche logica se ci pensi, ma vederla realizzata nella pratica per me è stato sorprendente.
Film Disney preferito e perché? Aladdin, perchè mi riporta alla mia infanzia. Mi piace la storia del povero ma puro di cuore, dell’amore che trionfa e poi quante risate… Il genio mi faceva morire dal ridere, era il mio personaggio preferito, con la voce inimitabile di Gigi Proietti, uno degli attori migliori che abbiano calcato i palchi italiani e che purtroppo il 2020 ci ha portato via.
4 personaggi femminili disney amati dalle bambine
Parliamo del brand: perché si tratta di un marchio unico nel suo genere e qual è la sua forza? Diciamo che Disney è un lovemark e questo è un suo punto di forza dovuto alle sue storie, che sono la sua arma più potente: storie di bellezza e valori universali che hanno creato nelle generazioni una relazione affettiva ineguagliabile con il proprio pubblico. È questo il motivo che ha portato Disney a investire in acquisizioni che riguardano proprio il materiale creativo, da Pixar, a Marvel fino a Twenty Century Fox.
Qual è stato il successo Disney meno atteso e come mai secondo te? Resto nell’ambito delle produzioni teatrali, perché sono quelle che ho potuto analizzare in maniera più approfondita. Sicuramente “Aida” può essere considerato un successo inatteso: la terza produzione teatrale Disney, basata sull’opera di Verdi. È stato un rischio simile a quello affrontato da Walt nella produzione di Fantasia: una rivisitazione in chiave più popolare di un’opera artistica riconosciuta come arte con la A maiuscola. Si pensava infatti che l’opera fosse un anatema per il box office come lo è Shakespeare. Ma come disse Nancy Coyne, CEO di Serino Coyne “Poi qualcosa come Shakespeare in Love arriva e spazza via quella linea di pensiero”. Aida incassò 166 milioni in 4 anni e fu riprodotto in altri 21 Paesi nel mondo.
E la pellicola o lo spettacolo che ha deluso maggiormente in termini di incassi? A livello teatrale il caso di maggior flop che ho analizzato a fondo, anche per capirne le ragioni, è stato Tarzan, con quasi 43 milioni di dollari di incassi e un investimento che andava tra i 12 e i 15 milioni di dollari. Anche la critica non fu clemente, principalmente per un mancato rispetto della storia e del diverso linguaggio artistico. A livello cinematografico poi sono diversi i casi di flop al botteghino che hanno fatto venire il mal di pancia al team Disney e forse servirebbe un excursus più approfondito di tutte le produzioni cinematografiche. Però un caso eclatante che ho affrontato nel mio libro è stato sicuramente “Il Pianeta del Tesoro” che a fronte di 140 miliardi di dollari di investimento ne incassò 38 in USA e 71 nel resto del mondo. Fu soprattutto un indicatore importante di quello che era un periodo di declino dell’azienda dal punto di vista creativo negli anni ’90, prima dell’arrivo di Pixar.
Disney ha fatto dei passi falsi lungo il proprio percorso, secondo te quali? Guardando alla sua storia in termini più ampi ho riscontrato i passi falsi più evidenti nella gestione del personale e nel rispetto dei propri valori: i momenti più floridi dell’azienda sono dovuti ai professionisti messi in campo, al loro benessere e al loro allineamento con i valori aziendali e così, nella situazione contraria i momenti di peggior crisi. Posso farti l’esempio di Jeffrey Katzenberg, pietra miliare Disney, che aveva il compito di supervisionare la divisione dell’animazione della compagnia negli anni ’80- ’90 e che fu diretto responsabile di successi come il Re Leone. Quando nel 1994 Frank Wells, secondo al comando morì tragicamente in un incidente in elicottero, Micheal Eisner, CEO di Disney gli rifiutò la promozione, il che portò a Katzenberg a formare la Dreamworks Skg con David Geffen e Steven Spielberg. Non solo sarebbe diventato il maggiore competitor di film animati negli anni a venire, ma avrebbe fatto perdere a Disney un professionista importante, tanto che a seguire non abbiamo più grandi successi Disney fino all’arrivo della Pixar e alla sostituzione di Eisner. L’ex CEO Disney infatti era ormai lontano anni luce dai valori aziendali di qualità e rispetto delle storie Disney pur di raggiungere il profitto, e venne sostituito da Bob Iger che non solo recuperò i rapporti in crisi con Pixar, ma l’acquisì. Se poi vogliamo parlare di passi falsi in termini di strategie di marketing si apre un altro capitolo e un esempio veloce che posso farti si può riscontrare nel settore teatrale durante la crisi del 2008, quando gli spettacoli Disney cominciarono a farsi concorrenza tra loro in un periodo in cui le persone non potevano permettersi grossi lussi (ben 4 spettacoli attivi a Broadway). Testarono quindi più strategie, fino a un ribasso dei prezzi che portò inevitabilmente alla morte degli spettacoli più deboli.
Cosa pensi dell’ultimo film Soul? Si vede moltissimo la firma di Pete Docter: chi ha amato Up e Inside Out, amerà sicuramente anche Soul. È un film molto profondo. Non so quanto i bambini possano recepire subito di questo film, ma credo che possa gettare dei “semi” importanti sia nei più piccoli che nei più grandi: va metabolizzato e ti fa chiedere che cosa stai facendo della tua vita, se la stai vivendo appieno. Se il tuo lavoro o a volte addirittura la tua passione non ti stia precludendo di vivere tutto ciò che c’è di bello attorno a te. È di una delicatezza e di un’originalità pari a pochi film: non è il solito film per bambini. Pare inoltre che abbiano consultato degli esperti per evitare di inserire nel film degli stereotipi dannosi e per rendere il protagonista Joe un personaggio più completo, il che credo sia un valore aggiunto non da poco. Per chi ama la musica, la colonna sonora Jazz di Trent Reznor e Atticus Ross è una ciliegina sulla torta. Consiglio di vederlo, ma con una predisposizione diversa, che non sia la semplice voglia di intrattenimento.
Prossimi progetti? Rimarrai nel mondo magico di Disney o stai affrontando altri brand di successo? Hai qualche anticipazione da farci? Continuerò a tenere sempre un occhio su Disney, per esempio è interessante studiarne le mosse anche adesso, in una situazione complessa come quella del Covid. Tuttavia sì, l’intenzione è quella di analizzare anche altri modelli e altri casi di successo. Ci tengo però ad osservare bene, ad approfondire e raccogliere i miei dati. Ci tengo a condividere dati di fonti autorevoli e dargli il giusto peso e la giusta interpretazione. Il problema è che con la valanga di informazioni online che ci invade oggi è forse più difficile individuare dov’è la verità. L’idea di diffondere una notizia non veritiera mi terrorizza, per questo mi informo il più possibile prima di espormi e cerco di pesare al mio meglio le parole, anche nel mio piccolo, nella vita quotidiana. Quello che ho fatto con Disney Business è un lavoro ragionato di ricerca di cui sono molto felice e non vorrei scrivere un secondo libro a cuor leggero. Quando e se lo farò (l’intenzione comunque c’è) voglio dedicargli il giusto tempo e la giusta attenzione.
Fonte foto: Federica Argentieri