È tutto qui. Colori netti, contorni evidenti, sfondi senza appello, espressioni e gesti riconoscibili. Fosco Grisendi, classe 1976, fa una pittura densa e essenziale che ha come protagonisti esseri umani presi in un momento, estratti, staccati e messi lì, sulla tela, fuori dal tempo e dallo spazio.
Del resto, se prendessero un pezzo qualunque di una nostra conversazione, dal minuto 1′ 23” al minuto 2′ 53” forse sembreremmo pazzi o depressi o euforici. Se rapissero un nostro gesto o espressione e lo togliessero dal tempo e dallo spazio sembrerebbe assurdo, nessuno riconoscerebbe in quel gesto la punta di un iceberg di azioni e reazioni.
I quadri di Fosco sono collage di fotogrammi rapiti e messi lì, che mettono in relazione ciò che relazione non ha, creano mondi possibili di soggetti che non possono comunicare fra loro, imprigionati nella fissità irreale dello sguardo di ciascuno.
Nelle prime opere dallo sfondo emergevano anche parole svuotate di senso, esemplari di pura forma, residui di un tentativo di contatto. Poi il wrestling e il movimento, un contatto di corpi più istintivo, un po’ più animale probabilmente, magari per questo più efficace anche raffreddato e riportato nel quadro con una tecnica così raffinata da sparire. Tutte facce che stavano per o avevano appena o pensavano a: potreste divertirvi a immaginare infinite sceneggiature per ciascuno. Poi si sa che ognuno ci vede quello che vuole e allora, per farci un po’ guidare, ne abbiamo parlato un po’ con l’artista.
Quali tecniche usi e come le scegli? “Utilizzo colori acrilici su tela di juta o carta, realizzo anche disegni a matita su carta che mi servono come bozze per i soggetti che vado a riprodurre nei quadri. La tecnica è scelta per esaltare il rapporto tra campitura di colore piatta e supporto ruvido, tra contorno della figura e fondo, tra i diversi colori che si devono sovrapporre senza sfumature. Aspetti tecnici che sono alla base del mio lavoro”.
Nelle tue opere ci sono immagini e parole, che relazione vedi fra questi due mondi? “Ho dedicato cinque anni della mia ricerca all’utilizzo di parole ed immagini, fino al 2013. Successivamente la mia attenzione si è spostata su altri aspetti. In generale credo che le immagini dialoghino con le parole da sempre, il loro intreccio dà vita a messaggi interessanti, che vale la pena approfondire, studiare, riprodurre. Nei miei quadri ho utilizzato le parole in abbinamento all’aspetto visivo delle figure. Testi semplici in relazione alla forma delle figure e viceversa. Il lavoro finale ricorda un rebus ma spesso alla base dell’opera c’è più una ricerca legata alla forma delle parole in relazione alle figure che non al messaggio”.
Una domanda che non ti hanno mai fatto: perché lo sfondo nero? Che relazione c’è nelle tue opere fra sfondo e soggetto? “Da un punto di vista strettamente tecnico lo sfondo nero mi serve per esaltare le figure che vado a dipingere sopra utilizzando colori molto accesi. Lo sfondo in relazione alle figure è un buco, è il tempo, è l’universo nel quale si trovano i soggetti rappresentati e che non fornisce loro alcun riferimento spazio temporale”.
Come scegli i tuoi soggetti? “Traggo ispirazione dalla quotidianità o almeno è la fonte che prediligo. Mi attraggono prevalentemente gli aspetti incomprensibili della società. Provo ad analizzare i fatti meno coerenti del mondo attuale circoscrivendo i soggetti essenzialmente a figure umane, oggetti e paesaggi, grosso modo in quest’ordine d’importanza”.
Vivi e lavori in provincia di Reggio Emilia. Per un artista esiste la provincia? Incide nelle proprie opere? “La provincia esiste eccome, a volte è proprio in provincia che ti senti quasi obbligato a creare, a produrre uno sforzo ulteriore nella ricerca dell’ispirazione perché l’ambiente circostante di per sé non ne fornisce molti. Penso che ogni artista, anche inconsciamente, sia influenzato dal luogo nel quale è nato, cresciuto e vissuto. In alcuni artisti è più evidente ed in altri meno, nel mio caso non credo sia immediatamente riconducibile al mio luogo di appartenenza. Tuttavia ritengo che se vivessi in una grande metropoli sicuramente dipingerei in maniera diversa, tutto ruota attorno agli stimoli che una città può darti, tanto da influenzare anche l’attività artistica”.
Ci racconti tre luoghi dove ti è piaciuto particolarmente esporre? “Officina delle Arti di Reggio Emilia: ha ospitato il mio Studio per quattro anni al termine dei quali ho realizzato una mia personale presentando per la prima volta il progetto “Stand your ground”. Ex Conservatorio Sant’Anna di Lecce: un posto magico restaurato di recente, soffitti alti e muri in pietra leccese, un luogo molto diverso dai soliti cubi bianchi deputati ad ospitare le mostre di arte contemporanea. Musei Civici di Reggio Emilia: tra le location più importanti della mia città, nel febbraio di quest’anno ho avuto l’onore di essere ospitato per una personale in seguito all’acquisizione di una mia opera che è entrata a far parte della grande collezione del Museo, nell’ambito della mostra “Tutto Quadra”.”