La settimana della moda a Milano ha aperto i battenti e addetti ai lavori e wannabe (blogger, influencer, e assistenti degli assistenti) hanno invaso la città meneghina da ogni parte del mondo per assistere a quella che è la fashion week più importante. Anch’io per Fashion Times c’ero e quello che state per leggere è ciò che ho visto.

Ad aprire le danze della Milano fashion week è Grinko che porta in passerella la casa delle bambole (questo il nome della sfilata) per omaggiare le due bambine avute col suo compagno: una sfilata dunque piena di significati che rimandano alla famiglia, ma che hanno poco a che fare con la moda e con la contemporaneità.

Brava Giulia Marani che porta in scena la sfilata iniziata da suo padre (lo stilista Angelo, scomparso nemmeno un anno fa) e finita dalla figlia, appunto. Citazioni del cuore è il nome dello show ma in passerella ci sono ben altre citazioni, stilistiche questa volta, da Marc Jacobs a Jean Paul Gaultier passando per MiuMiu fino al più recente Marco de Vincenzo. Bellissimo lo styling e il lavoro sulla maglieria.

Wunderkind a metà strada tra l’hipster e l’homeless, tanto è vero che uno dei modelli aveva delle monetine applicate sull’abito di taglio classico. Non l’ho capita, seppur abbia apprezzato gli accessori e i bomber tipo da guerriero.

Wunderkind

Cristiano Burani ha avuto il coraggio di osare pur rimanendo fedele a se stesso: suggestioni etniche si sono mescolate a tecnologia e innovazione giocando con i contrasti. Molti i riferimenti sportivi accostati a materiali preziosi, terribili le scarpe che hanno un po’ rovinato la collezione, perchè è giusto dirlo: i pezzi presi singolarmente non erano affatto male.

Cristiano Burani
Cristiano Burani

Fay non ho ancora capito bene perchè sfili: Aquilano e Rimondi sono due grandissimi designer, e stanno dando al marchio una forte identità, ma Fay fa giacche e cappotti e credo dovrebbe far solo quello.

Alessandro Michele da Gucci ha mandato in passerella 119 look, centodiciannove storie dentro una passerella futuristica a metà strada tra un acquario e una serra.

Gucci

Dentro questo giardino/serra/laboratorio d’alchimista hanno sfilato il DNA dei decenni passati del brand fiorentino rivisti e corretti, la storia del novecento a braccetto col nuovo millennio e il futuro che bussa alla porta: i motivi floreali, il check inglese, i parasole di fine ottocento giapponesi, i pigiamini da neonato monogrammati, i cappotti cammello e i calzettoni bianchi da calciatore portati sopra le caviglie dei jeans arrotolati (cosa che odio).

Ad ogni modo Michele ha portato in scena storie di persone e personaggi diversi, come a voler riferirsi alle amanti di Jane Austin che in segreto però amano gli AC/DC (alcune maglie riportavano alla band metallara). E poi le citazioni medievali, gli anni ’70 e le ragazze col passamontagna glitterato, senza tralasciare il serpente che si morde la coda (l’Ouroboros amatissimo dagli antichi egizi e da Michele stesso). La sfilata personalmente l’ho trovata difficile, molto editoriale e poco pratica nell’insieme, ma sicuramente d’effetto e riflessiva.

Gucci

Alessandro Michele è un umanista che ama e vede il punk come uno stato d’animo e una via di fuga dalla realtà, che tutto sommato non è malvagissimo.

Alberta Ferretti ha fatto una bella cosa: ha mandato in passerella Halima Aden, la modella del Minnesota che sfila solo e soltanto con l’Hijab, il velo islamico. Quindi ha fatto una cosa bella, solo una. Ah, poi sul finale c’erano le maglie con i giorni della settimana.

Alberta Ferretti
Alberta Ferretti

Alessandro Dell’Acqua con la sua N°21 è stato superlativo e oltremodo intelligente: in scena il ricordo della bellezza e della femminilità di Anna Magnani mixato al glamour e alla femminilità di oggi. Intelligente perchè è facile rendere omaggio all’italianità scegliendo la Magnani (una delle attrici italiane più carismatica e amata nel mondo) ma è difficilissimo non cadere nel citazionismo e nella didascalia più pura, semplice e diretta. Alessandro ce l’ha fatta perchè ha pensato a quando la diva visse in California per i film “La rosa tatuata”e “Pelle di serpente”.

La silhouette è dunque a clessidra, morbida e dal gusto retrò, ma il designer napoletano allontana completamente i clichè dall’immaginario e dal riferimento iniziale. Così l’ispirazione diventa abito a corolla, gonna affusolata aperta da una zip, tailleur pantalone portati con la giacca a sacchetto e le cinture che strizzano il punto vita. Superlativo perchè a far da contraltare ci sono le giacche da aviatore, gli anorak e i pullover enormi.

Le gonne a ruota, i panorami californiani ricoperti di paillettes sui cardigan e le scarpe, bellissime. Insomma Dell’Acqua con questa collezione guarda ad un pubblico più vasto che è fatto di donne mature e consapevoli ma anche di giovanissime che lo adorano portando in scena una sfilata che ha il ricordo di ieri ma il sapore del domani.

Fausto Puglisi rivendica la sua estetica e manda in passerella una collezione piena di riferimenti: da Pasolini, passando per il mai troppo compianto Versace, fino allo Young Pope di Sorrentino. In scena un gioco di volumi, materie  e lunghezze: dai kimono di raso matelassé che si mixano ai bomber oversize, passando dai tessuti da tappezzeria arrivando al crepe di lana. Unica pecca? Mancava l’editing, forse per questo per circa dieci o forse di più ha mandato lo stesso pezzo in varianti diverse.

Francesco Scognamiglio parla senza mezze misure nel backstage della sua sfilata: “le modelle in carne, vecchie, brutte e transessuali sono solo un’inutile ostentazione, io voglio solo delle vere fighe come quelle di Victoria’s Secret”.

Nasce da questa voglia smisurata di bellezza la collezione dedicata alle farfalle che escono dal bozzolo. In poche parole abiti in organza come se piovesse con stampe di farfalle sulle bluse di seta. Sul finale abiti lunghi color pesca dai ricami bombati portati con stivali di velluto effetto pitone (magari un po’ meno)