Sono le 9 di mattina del 3 di gennaio. Appena alzata. Guardo dal balcone: grigiume, nevischio e freddo cane, secondo mia tabella dovrei fare ben 12 chilometri di corsa. Voglia zero!
Il caldino di casa e il divano alla mia destra è lì che mi invita a sedermi tra i suoi morbidi cuscini, dietro di me la voce sibillina di mamma: “cosa esci a correre con il tempo che c’è? Ma stai a casa, avrai del tempo per correre quando inizia la bella stagione!”.
Si beh in effetti… Nessuno mi obbliga, quasi quasi le do retta, esco domani… poi però penso a papà che a occhio e croce sarà già a correre da quasi un’oretta, cosi il senso di colpa mi invade, mi sveglio dal mio torpore e comincio a prepararmi per uscire.
Mio papà, 75 anni, ex maratoneta, è il mio faro, il mio guru, merito (o colpa?) sua, la mia passione per lo sport. Sua e del nonno paterno, che fin dai tempi dell’asilo mi ha parlato di motori e auto da corsa, una delle prime cose che mi ha insegnato? La differenza tra motore a scoppio e diesel.
Fin da piccola, ho sempre fatto ogni tipo di sport. La domenica era dedicata alle pedalate, al nuoto, alle corse, alle camminate in montagne, al corso di tennis, alle sciate in inverno e anche in estate si, in estate sul ghiacciaio. E se non eravamo noi a praticare sport, andavamo a vedere gli altri: gare di Formula 1, Rally, gare di moto su pista, motocross, regate sul lago, gare di bisse… insomma ogni scusa era buona per socializzare, familiarizzare con lo sport, stare fuori di casa.
La corsa è sempre stata un punto fisso in famiglia, una scusa che portava me e papà a fare corse infinite, spesso non programmate – con somma gioia di mamma, ormai rassegnata – accompagnate da lunghe chiacchierate e riflessioni. La nostra corsetta era diventato un impegno fisso settimanale al quale nessuno dei due voleva e poteva rinunciare.
La corsa è uno sport semplice da fare, ed ha un grosso vantaggio, bastano un paio di scarpe giuste, una maglia, un paio di pantaloncini, la strada davanti e la tua voglia di andare.
I miei genitori hanno sempre viaggiato per tutto il mondo, un po’ per lavoro un po’ per loro piacere, e nella valigia di papà le scarpe da running erano l’ultima cosa che infilava prima di chiuderla e la prima cosa da tirare fuori una volta giunti a destinazione, e così, tra una escursione e l’altra ci scappava sempre la corsa, a New Dehli, Parigi, Lhasa, Lima, Mosca e perfino Teheran con il logo delle scarpe cancellato per non correre il rischio di essere scambiato per americano, era il 1989 Khomeini era appena morto e l’Iran era tornato da poco ad essere ancora un paese visitabile e ospitale con noi occidentali, tutti tranne gli americani.
Con questi precedenti, posso mai farmi fermare da un po’ di freddo e da una manciata di fiocchi di neve? Cosi vestita di tutto punto, coperta fino alla punta dei capelli, il fedele Garmin al polso, esco di casa, inizio con un po’ di stretching e corsetta lenta, stando bene attenta a dove appoggiare i piedi per non rischiare di scivolare… e poi via via sempre più veloce.
Mi bastano poche centinaia di metri per entrare in totale assetto col mio corpo e con il mio IO interiore. Tutto sembra girare in armonia come una macchina, le gambe ruotano bene, il fiato e il respiro sono sincronizzati, macino metri senza accorgermene, niente dolori, non accuso sofferenza di alcun tipo, non mi sento troppo affaticata.
Sto bene e mentre corro, riesco perfino a non pensare assolutamente a niente. Incredibile! Tutto il brutto l’ho buttato alle spalle la notte del 31 dicembre, e con questa corsa, la seconda dall’inizio dell’anno (per essere precisi), è come se stessi andando incontro al mio futuro. Solo cose e persone belle per il mio 2016.
Anche questa volta la corsa mi è stata di “supporto terapeutico“, e quella sensazione di felicità e di libertà non l’avrei mai provata se fossi rimasta a casa al caldo sul comodo divano a sorseggiare una bella tazza di caffè bollente.
Sorrido quando incrocio altri runner, un cenno di saluto e di intesa, uno scambio di sguardi che ci da la conferma che… beh si, siamo stati davvero grandi ad uscire a correre nonostante il brutto tempo di oggi. Rido tra me e me quando penso alle amiche e alle colleghe di lavoro quando racconto delle mie uscite e delle mie imprese da runner, “caspita che coraggio e che forza di volontà!” spesso mi sento dire. Non che non faccia piacere, ma….
In realtà non è più solo una questione di volontà, se corro da cinque anni, non è solo per volontà, correre è una attività ormai entrata a far parte della mia quotidianità, della mia natura. Correre mi piace e mi fa star bene, naturale perseverare nelle cose che si amano fare. Al contrario se una cosa non piace o non è adatta a noi, come la corsa ad esempio, puoi avere tutta la volontà di ferro che vuoi, ma a lungo andare non ne trarrai alcun beneficio. E quindi è quasi matematico che smetterai di correre.
Arrivo a quasi 7 kilometri per rendermi conto che è tempo di voltare il senso di marcia e rientrare verso casa, cosi ne approfitto per ripensare ai programmi del 2016, rientro in ufficio e subito Pitti Bimbo, periodo di sfilate e presentazioni uomo e donna, MIDO, White… tutto nei prossimi due mesi, lavoro di PR a parte, sono contenta di rientrare a Milano e ricominciare gli allenamenti settimanali di potenziamento con Coach Rondelli e tutto il gruppo TTC al Campo XXV aprile, le tabelle e l’occhio vigile di Coach Matteo e rivedere il gruppo dei #cityrunners con nuovi obiettivi, nuovi progetti, tanti nuovi incontri e nuove avventure da portare avanti.
Arrivo a casa sbuffante, stanca ma estremamente felice, ho fatto addirittura più kilometri di quelli che avrei dovuto. La mamma è li sulla porta che mi aspetta sorridente, non capirà mai perché lo faccio, ma sa che mi fa stare bene e come tutte le mamme se i figli sono felici, lo sono anche loro.
Non ho dubbi, questo 2016 si prospetta davvero fantastico!
Il 1° di gennaio Fox ha letto l’oroscopo dell’anno, ha consigliato agli amici del segno della Bilancia un viaggio in Nuovo Zelanda… Mai consiglio fu più profetico. Perché? Lo scoprirete presto.