Quando hai deciso di scrivere questo libro? Questo libro ho deciso di scriverlo lo scorso anno.
Ti ricordi l’attimo preciso in cui l’hai pensato? È successo qualcosa di particolare? Mi ricordo che mi chiamò Armando, l’editor, per conoscerci e in quel momento mi ha proposto subito di scrivere un libro. Scrivere un libro non era quello che stavo pensando, perché dopo averne scritti due, ero in un momento un po’ di disincanto dalla scrittura e non era in programma un nuovo libro. Ragionando con Armando mi è poi scattata una scintilla che mi ha fatto pensare: era giunto il momento di scrivere un libro che riuscisse a portare la corsa nelle mani di tutti; a quel punto ho detto che avrei scritto il libro solo se avesse avuto lo scopo di abbattere la barriera che oggi molte persone hanno nei riguardi della corsa. È un libro che riporta la parola “corsa” nel titolo e che vuole consentire a tutti di scoprire che la corsa è qualcosa di diverso da quello che oggi viene vissuto, raccontato e praticato. Oggi lo status quo della corsa la pone come un’attività che fa male alle ginocchia, alla schiena e uno sport che non è per tutti; il mio scopo è invece quello di portare alla luce la corsa facendola vedere sotto a un altro punto di vista. Questa è stata la famosa scintilla.
Cosa rispondi a tutti quelli che sostengono che la corsa in realtà fa male o che comunque è un’attività traumatica? Su quale base sostieni il contrario? Le basi sono fisiologiche, meccaniche, fisiche, evoluzionistiche, biologiche, ecc… Noi ci siamo evoluti correndo e la corsa è una nostra forma di locomozione: se facesse male madre natura avrebbe fallito e noi non saremmo qui. La corsa non solo non fa male (a ginocchia, schiena e altro ancora) ma potenzia, migliora e sistema le articolazioni in generale. La corsa è un’abilità, è uno schema motorio di base e, come ogni abilità, si può essere più o meno abili. Con il nostro stile di vita, all’interno della nostra società, non siamo più in grado di correre nel vero senso della parola. Correre non è uscire di casa e percorrere un determinato spazio un passo dopo l’altro, bensì richiede crismi, logiche e caratteristiche che vanno rispettate: serve una postura corretta, utilizzare il piede in un certo modo, muovere il corpo in un modo specifico.
Nel libro spieghi tutte queste cose? Una persona che non presenta queste abilità, leggendo il libro, riesce a migliorare la propria tecnica? All’interno del libro non ho inserito esempi specifici di come correre correttamente, perché è un libro che vuole portare il lettore a capire l’approccio alla corsa e cosa la corsa può fare per la sua vita, dando dei programmi per approcciare alla corsa, facendola sperimentare in modo gentile, affinché tutti possano essere in grado di farla. Guardando a tutto il mio lavoro (dai social a tutto il resto che faccio) ogni persona può trovare le informazioni per imparare a correre correttamente. Per rispondere alla domanda ti dico che oggi la corsa viene demonizzata perché non c’è una cultura che spieghi come correre correttamente, ma non basta la tecnica, perché serve un corpo adatto alla corsa, poiché chi è abituato a stare seduto 8 ore può non avere un corpo allenato, perché spesso assume posture sbagliate. In questo libro vorrei far capire anche che la corsa è un’esca per comprendere che dobbiamo prenderci cura di noi stessi, riscoprendoci a livello fisico. Come possiamo pensare di correre senza un giusto allenamento? In un contesto gravitazionale si deve imparare a gestire quell’impatto che tanto viene demonizzato, ma che in realtà ci salva la vita: se sono abile a gestire l’impatto mi salva la vita, se non lo so fare diventa un problema. Ecco, quindi, che se corro male la corsa fa male, ma la corsa è una necessità biologica e se non la facciamo andiamo incontro a problemi che non vediamo nell’immediato; la corsa non è uno sport, ma un gesto, un movimento che a livello fisico, meccanico e cerebrale apre al corpo e a noi stessi delle porte uniche che si possono aprire solo attraverso il gesto della corsa.
Per quanto riguarda il terreno, cosa puoi dire? Come influisce sulla corsa? A seconda del terreno serve avere il corpo preparato, sapendo correre in modo adatto a quel terreno. C’è una risposta elastica diversa per ogni terreno sul quale si corre. Bisogna adattare le nostre strutture affinché non vadano a compromettersi con il cambio del terreno. Serve avere quella consapevolezza e quell’accortezza di avvicinarsi a un nuovo terreno con umiltà, imparando a conoscerlo.
Vale lo stesso per la scelta delle scarpe? Le proposte sono moltissime e spesso generano confusione in chi deve scegliere quali utilizzare. Prima della scarpa bisogna prendersi cura del piede. Per quanto riguarda la scelta della scarpa, il primo step è capire la misura giusta e la scarpa giusta: il piede si misura in cm e questo già cambia tutto l’approccio. Il tipo di scarpa dipende poi da molti fattori, che riguardano il tipo di allenamento, la struttura corporea, il terreno su cui correrò, l’obiettivo che si ha. La scarpa che oggi è utile e funzionale, tra pochi mesi potrebbe non essere più quella giusta, perché la corsa è migliorata, il piede si è modificato, ecc… Non si deve vivere la scarpa come una schiavitù: la scarpa è uno strumento utile o meno utile a seconda di cosa devo fare.
Come spieghi nel libro il fatto che nella corsa si dovrebbe guardare sempre il battito cardiaco e non quanto spazio si percorre in un certo tempo? Purtroppo, il parametro di riferimento per la corsa è diventato il passo al km, ma questo vale solo per la corsa sportiva. Quello che insegno io è lavorare su tre aspetti, che io definisco come un GPS interno: la frequenza cardiaca monitorata con fascia cardiaca, lo sforzo percepito (presuppone un lavoro di conoscenza di sé) e la respirazione, che secondo me è il parametro più utile per eccellenza, per imparare a capire il proprio sistema energetico e il suo funzionamento. Padroneggiando questi tre aspetti si diventa cinture nere di corsa e si riscopre se stessi e il piacere della corsa, correndo in base a ciò che si desidera in ogni momento.